THOMAS
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RAABE BAJKAL
Così lavora la morte
In una fredda notte d’autunno Raab si era addormentato con il mormorio
della fontana nel cortile e dei passi rapidi e leggeri delle suore. In
quella notte avrebbe per la prima volta vissuto sulla propria pelle come
lavora la morte.
Gli era già capitato, come a tutti gli altri, di vedere morti nelle
fotografie sui giornali o in televisione e una volta, da lontano, aveva
persino osservato con curiosità un cadavere ricoperto da un telo di
plastica nero, ma la morte non l’aveva mai vista così da vicino come gli
sarebbe capitato quella notte. Nessuno mai, in tutto il mondo, avrebbe
potuto prevedere che Raab da lì a poco sarebbe per un soffio sfuggito
lui stesso alla morte e che poi, due anni dopo, avrebbe ucciso un uomo.
Si svegliò verso le dieci, quando incominciò un cupo muggito, prima a
intervalli più lunghi ma poi sempre più intensi e forti. Si capiva
benissimo che si trattava di un muggire di dolore.
Raab sentiva il respiro regolare del suo compagno di stanza e lui stesso
respirava come se stesse ancora dormendo. I suoi occhi erano spalancati,
fissi sull’oscurità. Il rumore aveva già svegliato Fieber e Raab, ma
nessuno dei due voleva far capire di essere sveglio. Una delle suore
avrebbe potuto entrare in qualsiasi momento e chi veniva scoperto
sveglio doveva alzarsi per primo la mattina e aiutare a preparare la
colazione a tutti. Così fu il portiere, che era entrato per svegliarli,
si accorse di quegli occhi spalancati che si richiusero in fretta non
appena ebbe acceso la luce. Ma gli anni lo avevano reso mite e affabile.
Disse piano che dovevano alzarsi e mettersi addosso dei vestiti caldi,
soprattutto le calosce. Non dovevano lavarsi ma sbrigarsi.
Si alzarono dal letto quasi con gratitudine, e così tutti gli altri
della loro classe uscirono dalle loro stanze. Quel muggito non li
avrebbe fatti dormire. Si vestirono svelti e con agitazione e seguirono
il bidello nell’ufficio della direttrice del collegio che li aspettava
nella sua solita divisa, ma anche lei indossava stivali di gomma. Quando
si trovò di fronte la direttrice, Andrè, la più piccola tra tutti,
scoppiò improvvisamente in lacrime e confessò che la settimana prima per
la rabbia aveva sfondato con un calcio la porta della sala mensa. Era
talmente intimorita e impaurita dal muggito della mucca che la cattiva
coscienza le strappò un’improvvisa e inaspettata confessione. Se ne
sarebbe riparlato al mattino seguente, disse la direttrice con uno
sguardo di compiacimento e disse di voler interpretare quest’ammissione
di colpa come un ulteriore segno di crescente maturità da parte della
bambina sotto la sua tutela. A tutti gli altri disse che avevano
raggiunto un’età in cui dovevano essere edotti su diverse cose. Però non
si dovevano spaventare e se volevano sapere qualcosa potevano chiedere
liberamente, senza timore, e se qualcuno si fosse sentito male lo doveva
dire in tempo. Così abbandonarono la casa e seguirono la direttrice,
armata di una grossa torcia elettrica, verso la fattoria lì vicino, dove
vennero accolti dalla contadina che li conosceva tutti perché andavano
da lei a prendere il latte. Disse che era quasi arrivato il momento e li
precedette nella stalla dove si trovavano il contadino e il suo strano
fratello, di cui tutti i più piccoli avevano paura e che invece i più
grandi prendevano in giro. L’uomo era sordo dalla nascita.
Raab distolse per timidezza lo sguardo dal Taubmann e si andò a mettere
dietro alla mucca che aveva la coda legata al soffitto con una corda.
Una sostanza gelatinosa mista a sangue grondò dal sesso rigonfio e
turgido dell’animale. Per terra c’era una bottiglia con un disinfettante
e diverse cordicelle a cui erano legate, a un’estremità, dei pezzetti di
legno. A ogni grido della bestia lui e i suoi compagni trasalivano,
l’urlo era insopportabile. Anche la direttrice, che avrebbe già dovuto
iniziare con le sue spiegazioni, seguiva affascinata e atterrita quanto
stava accadendo. La contadina che osservava tutti con un sorriso
divertito spiegò che questa volta stava andando davvero molto per le
lunghe, nonstante il vitello fosse in una posizione insolita e che non
si era ancora girato del tutto. All’improvviso l’animale venne percorso
da un fremito e prese a respirare pesantemente, ormai sfinito. Il
contadino si rimboccò le maniche della camicia si strofinò mani e le
braccia con il disinfettante e, per il raccapriccio dei ragazzi, infilò
mano e braccio nell’animale. Gran parte del suo braccio era sparito nel
corpo della mucca alla ricerca delle membra del vitello. Non si è ancora
girato per bene, disse, sarà dura. La direttrice aggiunse che si nasce a
testa in avanti. Se arrivano prima le zampe possiamo tirarlo fuori,
disse la contadina. E per tutto il tempo Taubmann era rimasto ad
osservare Raab.
Così aspettarono, tacquero e ascoltarono il respiro della mucca
diventare sempre più veloce, e poi sempre più debole tanto da non
riuscire più nemmeno a muggire. Il respiro si trasformò in un ansimare,
in un rantolo così penoso che il contadino prese la decisione di
telefonare al veterinario. Raab non sapeva dire quanto tempo passò fino
al ritorno del contadino. Non era riuscito a trovare il veterinario. Ma
appena ebbe messo piede nella stalla la bestia cadde sulle ginocchia e
si rotolò lentamente su un fianco. Forse attraverso la pressione
esercitata dal peso del corpo della mucca, improvvisamente spuntò fuori
dalla vagina la punta di un piccolo zoccolo. Il contadino vi legò subito
una corda per poi tirare con tutta la sua forza. Così spuntò anche il
secondo zoccolo e la contadina si attaccò alla seconda corda per far
venire il vitello al mondo, dove evidentemente non voleva venire. Come
lo sapesse già che la sua esistenza non sarebbe stata tra mucche
ruminanti su pianure erbose, che non avrebbe spezzato nemmeno una volta
la ticchettante recinzione elettrica, per farsi poi riprendere nel
radura del bosco di abeti, che non avrebbe mai calpestato gli umidi
prati ma che invece era destinato a una breve vita nella luce
artificiale della stalla.
Il Taubmann tirò fuori dalla tasca un quaderno che aveva una penna biro
legata a uno spago per pacchi e vi scrisse in modo precipitoso con
caratteri minuscoli e lo porse alla direttrice che affascinata stava
fissando la mucca agonizzante.
Mattazioni d’urgenza e mattazioni di animali con disturbi dello stato
generale devono effettuarsi nel pubblico mattatoio nei locali nella zona
riservata alla mattazione di animali infetti; in caso di mancanza di
tali appositi locali o in occasione di mattazioni al di fuori del
mattatoio pubblico esse possono effettuarsi solo in fasce temporali
diverse rispetto alle ore di mattazione convenzionali. Al termine delle
mattazioni di cui al paragrafo I deve essere effetuata un’accurata
pulizia sia dei locali che degli attrezzi utilizzati. Leggeva a voce
alta, con il tono di voce che utilizzava durante le lezioni di biologia
e di fisica, quando doveva soverchiare il rumore della pompa da vuoto o
il brusio del generatore.
E per tutto il tempo il Taubmann era rimasto a osservare Raab. E più si
faceva intenso il respiro della mucca e irrefrenabile la sua emorragia,
tanto più la contadina si sforzava di raccontare ai ragazzi di altre
faccende, questo per non farli impaurire. Elencava le razze bovine:
l’Appenzeller, la “Schwarzbunte”, la mucca dell’Oberland, la bavarese,
quali pregi e quali difetti avesse ciascuna razza, le caratteristiche
del loro carattere e la produzione di latte, quelle che si arrampicano
meglio e quelle che corrono di più. Nel frattempo la mucca aveva smesso
di muggire ed emetteva ormai, a intervalli sempre più lunghi, solo
ansimi e sibili che sembravano provenire da lontano tanto che non
sembrava quasi potessero provenire da un corpo così grande come quello
di una mucca. Il contadino ormai stanco tirava e dava strappi al vitello
e con lui il Taubmann.
Ormai non parlava più nessuno, si era fatto quasi silenzio, anche i
rumori che provenivano dagli altri animali, dalle altre mucche e dai
maiali si erano affievoliti e addolciti, e allora la mucca smise di
ansimare, e fu quasi un sollievo, perché era ormai uno strazio
ascoltarla, e a ogni suono che emetteva veniva da afferrarsi il petto.
Il contadino tirò fuori con grande velocità, nessuno vide da dove, un
coltello affilato, e fece un enorme taglio all’addome della vacca e il
vitello venne scaraventato per terra accompagnato da un’ ultima ondata
di sangue. Adesso avete imparato qualcosa, disse la direttrice, e spinse
i ragazzi fuori dalla stalla. Anche lei stava male. Ed era certo che per
un po’ non avrebbe più tenuto lezioni di questo genere.
Alcuni dei ragazzi fecero degli incubi e gridavano nel sonno, Fieber si
svegliava e stava molto male, Opfer piangeva nel sonno, Andre dormiva
come se fosse svenuta e Raabe rimase sveglio tutta la notte, fissando il
buio.
La direttrice si rimproverò di aver esposto i ragazzi a una simile
esperienza. Così decise di cambiare argomento per la prossima lezione di
biologia.
Brina
Il seguente giorno d’autunno la brina copriva i prati, e sulle
depressioni campeggiava una nebbia bassa e ghiacciata, e come ogni
giorno, da trentasei anni si svegliava il bidello. Dopo aver aperto gli
occhi aspettò qualche secondo e sorrise contento quando sentì la sveglia
cominciare a sbatacchiare. Si alzò forse un po’ troppo velocemente, e si
sentì girare la testa, una sensazione di malessere si annunciava e una
silente assenza di voglia, una sensazione di sazietà che gli era
sconosciuta. Si lavò, si trascinò nel lavatoio deserto portando in mano
il suo dente di vetro. Si lavò e sciacquò la dentiera con ODOL e acqua
fredda. Andò a prendersi un cesto di vimini in cucina, tornò nella sua
stanza e si vestì. Fece per prendere la camicia pulita, ma la lasciò lì
e si rimise la camicia del giorno prima.
Uscì di casa, si raschiò la gola, ma né il naso e né la gola e nemmeno i
bronchi gli si schiarivano davvero, il respiro passava un po’ a fatica e
si udivano rumori di resistenza.
Camminò per cinque minuti e raggiunse la fattoria dei vicini che erano
già al lavoro. La contadina lo vide avvicinarsi, si tolse subito le
scarpe da stalla e gli fece cenno di raggiungerla in cucina, il cane
abbaiò come sempre brevemente e poi cominciò a scondinzolare. In cucina
c’erano cinque dozzine di uova, alcune scure, altre chiare. Come di
consueto si scelse le sue uova e contandole con voce roca le riponeva
nel cesto. La contadina si spazientì per la sua lentezza. L’anziano
signore prendeva ogni singolo uovo come se dentro vi sedesse un neonato,
e si eccitò talmente per la sua attenzione esagerata, che cominciò a
tremare fino a tremare sempre di più. Tornò indietro, scese in cantina
dove si insegnava scienze e posò dieci uova sul tavolo della direttrice.
Udì un rumore di motore che proveniva dall’esterno e scosse la testa.
Chi è che si dava tante arie? Ne vale la pena? Si chiese.
Poi chiuse la porta dietro di sé, salì le scale, entrò in cucina dove
profumava già di caffè e ne bevve una mezza tazza. Non sarebbe stata una
bella giornata, pensò, e lasciò lì il caffè.
Carne
Spaventate, le galline svolazzarono di qua e di là, poiché la motoretta
oltremodo rumorosa dell’ispettore delle carni passava scoppiettando
davanti al collegio. Il piccolo veicolo era rumoroso come una macchina
da corsa oppure come il motorino smarmittato e truccato del figlio del
contadino, con cui si avventurava in selvagge corse di motocross nei
boschi. Ma il motorino dell’ispettore delle carni non era né smarmittato
e ne truccato, ma solo arrugginito, la marmitta era completamente
corrosa dalla ruggine e ogni tanto si staccavano dei pezzetti che
volavano sull’asfalto con grande slancio. E allora l’ispettore delle
carni doveva frenare, cosa che durava molto a lungo, poiché anche i
freni non funzionavano a dovere, tornare indietro e cercare questi
pezzi. Inoltre, più di una volta gli era volato via anche il cestino
compreso il microscopio nero e la valigetta di preparati chimici, oltre
a tre o quattro mele.
Il microscopio era un esemplare davvero impressionante proveniente da
Lipsia che aveva prestato i suoi servigi a più di una generazione di
ispettori delle carni, maestri di scuola, medici e anatomisti. Era, a
quanto sembra, indistruttibile. La sua precisione non era stata scalfita
né da due guerre mondiali, né dalla divisione delle due Germanie e
nemmeno dai viaggi in motoretta con l’ispettore delle carni.
(Antonio Ventresca 2008)
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