ARLECCHINO: STORIA DI UNA MASCHERA
RIFLESSIONI SULLA RIFORMA GOLDONIANA

a cura di Monica Giovinazzi

APPUNTI DISORDINATI PER UN INTERVENTO ALL'UNIVERSITA' DI VIENNA NOVEMBRE 2007



Immagino un dialogo tra Goldoni ed Arlecchino. Attraverso citazioni dalle sue memorie e dalle commedie, da canovacci e altri testi dove A. compare anche sotto altre spoglie con altri nomi.
Un confronto dialettico tra i due sulle sorti del teatro. Goldoni e il suo antagonista. Scelgo Arlecchino perché contiene più di ogni altra maschera – con Pulcinella, non a caso uno Zanni anche lui - il mistero del teatro. Essa è una specie di archetipo che corrisponde a una serie di funzioni drammaturgiche che ritroviamo nel teatro balinese, nell’opera di Pechino. Il teatro si può leggere sul corpo di Arlecchino come in altre culture sul corpo di una danzatrice Orissi o su quello di un attore del teatro No giapponese. Morte e rinascita, in G. la fame inestinguibile diventa solo una questione di pancia.
Acuto osservatore delle trasformazioni sociali che si sviluppano intorno a lui, il commediografo sceglie di farne oggetto di riflessione e di rappresentazione attraverso il teatro. Nella riforma passano al teatro alcune idee dell’illuminismo sul piacere, sul dolore, la virtù, l’utile, sull’istinto naturale inteso come sentimento morale. Goldoni vuole restituire dignità al teatro, attraverso la razionalità e il buon gusto , il controllo e l’ordine.
Nel Teatro comico (1750), Arlecchino dà una bastonata a Pantalone e Orazio dice: che il servo bastoni il padrone è un’indignità. Purtroppo è stato praticato dai comici questo bel lazzo, ma ora non si usa più. Si può dare maggior inezia? Arlecchino bastona il padrone, e il padrone lo soffre perché è faceto?
Goldoni addomestica Arlecchino. Lo riporta all’ordine.
Mette ordine nella gerarchia: primato del poeta/drammaturgo sull’attore che diviene interprete = inter+pretem colui che fa conoscere, tra, intermediatore.
Ordine nel testo: laddove danza/azione, musica, parola/voce segnavano (tatuavano e dunque dipingevano) il corpo dell’attore, dà il primato al testo scritto e allo svolgimento di una vicenda o di storie.
Ordine nelle parole: distinguendo e censurando quelle che s’hanno da dire da quelle che no.
Orazio nel Teatro comico dice: che la critica sia moderata…che sia mera critica e non inclini alla satira.
E dunque Ordine nella lingua: sostituendo al coacervo di parole e neolinguismi fantastico/onomatopeici, dapprima il veneziano sostituito poi in tarda stesura dal toscano e dunque in prima battuta selezionando il pubblico di intelletto di intelligere le sue commedie.
Un viaggio intrapreso seguendo le tracce che Goldoni semina nelle commedie e nelle sue memorie e che arlecchino lascia nei canovacci e nelle immagini che ne fissano posture e gesti, e naturalmente nei segni che nel tempo appaiono e scompaiono dal suo corpo.
Il mio intervento su Goldoni, dunque, non entra nel merito della validità artistica e drammaturgica della sua opera ma sulla
Goldoni promuove il poeta di compagnia da una posizione gregaria di puro appoggio al lavoro creativo (anche drammaturgico) degli attori al rilievo assoluto di responsabile della creazione teatrale dal testo alla direzione del suo allestimento.
La commedia dell’arte fu un fenomeno prodigiosamente creativo che impose l’italia all’attenzione dei popoli di mezza europa tra la fine del 500 e tutto il 700.
Nel Teatro comico (1750) – manifesto della sua riforma e dei suoi intenti – mette in bocca al capocomico signor Orazio – Goldoni stesso – il programma che intende portare a compimento.
Anselmo: la commedia l’è stada inventada per corregger i vizi, e metter in ridicolo i cattivi costumi; e quando le commedie dai antighi se facean così, tutto el popol decideva, perché vedendo la copia di un carattere in scena, ognun trovava, o in se stesso, o in qualchedun’altro l’original. Quando le commedie son deventade meramente ridicole, nissun ghe abbadava più, perché, col pretesto de far rider, se ammetteva i più alti, i più sonori spropositi.
Placida (sempre nella suddetta commedia, atto I scena II) a Lelio a proposito di stile:
i miei libri, - i “generici” (zibaldoni) - ..gli ho tutti abbruciati, e così hanno fatto tutte quelle recitanti, che sono dal moderno gusto illuminate. Noi facciamo per lo più commedie di carattere, premeditate, ma quando ci accade di parlare all’improvviso, ci serviamo dello stil familiare, naturale, e facile, per non distaccarsi dal verisimile.
Orazio: I nostri italiani vogliono molto di più. Che il carattere principale sia forte, originale, che l’intreccio sia fecondo d’accidenti e di novità. Vogliono la morale mescolata coi sali e colle facezie. Vogliono il fine inaspettato (tirata contro gli schemi scontati della commedia dell’arte, come se le sue non terminassero con matrimoni o lieto fine)
A Lelio: Voi vi esibite per comico? Un poeta, che deve essere maestro dei comici, discende al grado di recitante?
Nel Servitore di due padroni (1745) priva Arlecchino di tutto quello che considerava volgarità, indecenza, inverosimiglianza (nel periodo della decadenza) che all’origine erano dirompente carica satirica, iconoclasta, potenzialmente eversiva.
(1947-1997morte del regista) Via via Strehler introduce nello spettacolo la tecnica e il gusto della recitazione all’improvviso. E mette in ombra lo spettacolo che avviene sulla pedana, ovvero la vicenda narrata dal Goldoni,a vantaggio del resto, del fuoriscena. Gli interpreti maturano e poi invecchiano: il servitore diviene la parabola di un organismo vivente.

ARLECCHINO

ARLICHINO
BAGATINO
BAGOLINO
BERTOLDINO
FAGIUOLINO
FAGOTTINO
FRITELLINO
GRADELLINO
MEZZETTINO
NACCHERINO
NESPOLINO
PASSERINO
PEDROLINO
POLPETTINO
SIA PASQUINO
TABACCHINO
TABARRINO
TEMELLINO
TORTELLINO
TRACAGNINO
TRAPPOLINO
TRIVELLINO
TRUFALDINO
ZACCAGNINO

ErlenKoenig = folletto della mitologia scandinava alla guida di una masnada infernale – la mesnie d’Hellekin - di anime e belve ululanti.

Di rètro a loro era la sélva piena
Di nere cagne, bramose e correnti
Come veltri ch’uscisser di catena:
in quel che s’appiattò miser li denti,
e quel dilaceraro a brano a brano;
poi s’en portar quelle mèmbra dolenti.

Inferno, XIII canto – 125 (scialaquatori: violenti contro le proprie cose)

La caccia diabolica ha una lunga tradizione nella letteratura medievale
(vedi anche Boccaccio Decamerone V – 8)

O harlequin = demone gigante alla guida di cavalieri neri, morti in battaglia, che sputavano fuoco e di persone torturate da demoni nere e seguito da schiere di morti che piangevano per i loro peccati. Ne troviamo accenno in Dante nelle parole di Malacoda:

Io mando verso là di questi miei
E riguardar se alcuna se ne sciorina
Gite con lor, che non saranno rei.
Tra’ti avanti, Alichino, e Calcabrina….

Inferno, XXI canto – 115

Ha un rapporto strettissimo col mondo dei morti – nella tradizione nordica è anche un’entità che accompagna nel trapasso soprattutto bambini e persone fisicamente infelici – . Un tramite con L’altrove fonte di fascino e di paura, che ritroviamo nella presenza della maschera anch’essa legata al mondo dell’aldilà. Dunque A. capace di stabilire col pubblico un rapporto di paura e grande fascinazione. L’attore come medium tra il pubblico e un altrove. Non alla ricerca di una comunicazione verosimile ma sciamanica, capace di annodare e sciogliere altri livelli di comunicazione. Da notare, anche, che il vestito di A. rattoppato evoca le figure dei mendicanti che guarda caso sono in relazione e sovrapposti spesso agli attori: il vagabondo, colui che vaga o il viandante che si sposta: il potere fascinatorio che queste figure esercitano su un pubblico stanziale che non conosce se non i propri confini e limiti. E A. rompe i limiti anche del movimento è un acrobata.
Esso si configura come un'efficace mezzo di comunicazione tra gli uomini e la divinità, essendo uno strumento che permette di alienarsi dalle convenzioni spazio-temporali, al fine di proiettarsi all'interno di un mondo ‘altro', divino, rituale, mistico. Colui che indossa la maschera perde la propria identità per assumere quella dall'oggetto rituale rappresentata.

Perché Goldoni lentamente priva il teatro della maschera?

La maschera è strumento con cui captare la forza soprannaturale degli spiriti e appropriarsene, utilizzandola a beneficio della comunità. Spesso è associata al culto degli antenati. Il soggetto umano o animale è il più diffuso; essa deve comunque assomigliare allo spirito sul quale si desidera agire, nascondendo colui che la indossa. Tuttavia la maschera non è un travestimento con il quale si cerca di nascondere la propria identità personale, l'uomo mascherato non vuole farsi passare per una divinità, ma è la divinità stessa che lo possiede temporaneamente e che agisce attraverso di lui. La maschera può spesso essere considerata un simulacro.

Arlecchino irriverente che salta fuori dalla tavola imbandita a corte per lanciare riposte impertinenti alle domande dei convitati. Nel 1598 Tristano Martinelli da Mantova avvia la costruzione del personaggio di A. Tra i due tipi di Zanni - costruttore d’intrighi e produttore di battute utili all’avanzamento degli interessi del padrone, l’uno; meno intelligente, improduttivo ai fini della trama, parassita dell’azione, più animale che essere parlante e causa di rovinosi accidenti, l’altro; sceglie il secondo Zanni proprio per poter godere di maggiore libertà e ritmere l’azione con i propri interventi e aver inoltre la possibilità di stabilire un rapporto di complicità col pubblico.
Tristano recuperò dalla tradizione medievale l’A. diavolo e del fou Jeu de la feuillée di Adam de la Halle

ATTORE

Gli attori della commedia dell’arte giudicati spesso, erroneamente come ignoranti
Scrive Goldoni di Antonio Sacchi* - celebre attore della commedia dell'arte:
Ho lavorato quanto basta sopra vecchi soggetti. Avendo a disposizione attori che promettono molto conviene creare, conviene inventare. Per impiegarli però utilmente ho da studiar prima il carattere naturale di ciascuno*, e dandogliene a rappresentar uno analogo al suo, son quasi sicuro della riuscita.
Memorie XL – I

* alcuni celebri attori della commedia dell'arte e le maschere da loro interpretate per una vita intera!Antonio Sacchi – Arlecchino; Anna Baccherini – la donna di garbo; Cesare D’Arbes – Pantalone; Maddalena Marliani – La locandiera

Il successo dell’A. fu sicuramente legato all’abilità di Antonio Sacchi, l’attore che inviò a Goldoni uno scenario Arlequin valet de deux maitres di Jean Pierre des Ours de Mandajors, invitandolo a scrivere una commedia per il suo personaggio.
Lettera di prefazione in cui l’autore si rivolge a chi legge (il Servitore di due padroni 1745):
L’ho poi veduta in altre parti da altri comici rappresentata, e per mancanza forse non di merito, ma di quelle notizie che dallo scenario soltanto aver non potevano, parmi ch’ella decadesse moltissimo dal primo aspetto. Mi sono per questa ragione indotto a scriverla tutta, non già per obbligare quelli che sosterranno il carattere del truffaldino a dir per l’appunto le parole mie, quando di meglio ne sappian dire, ma per dichiarare la mia intenzione, e per una strada assai dritta condurli al fine….
Prego comunque dall’astenersi dalle parole sconce, da’ lazzi sporchi; sicuri che di tali cose ridono soltanto quelli della vil plebe, e se ne offendono le gentili persone
.

Addomestica l’attore e nel teatro comico suggerisce anche soluzioni da regista su gestualità e recitazione: eclatanti le indicazioni che il capocomico Orazio dà alla cantante Eleonora nel Teatro comico

PUBBLICO

Un pubblico composto per lo più di ricchi borghesi.
Attenzione diversa al pubblico che paga il biglietto per entrare in teatro. E dunque in un luogo chiuso, un luogo deputato all’evento teatrale. Non più la piazza dove decidere di sostare o passar oltre, dove decidere se dare o meno una ricompensa. Il teatro diventa commerciale. Nasce la figura del critico teatrale che acquisterà nel tempo, e tuttora è così, il potere di determinare la fortuna o meno di un artista, di uno spettacolo.
Goldoni ha a cuore il pubblico e cerca di appagarlo ma, al tempo stesso, anche di orientarlo. I borghesi chiedono al teatro non più un’evasione dalla realtà quotidiana ma la possibilità di guardare la propria vita: i loro difetti, i loro meriti, i loro problemi.
Il mio stile non era elegante, la mia versificazione non tendeva al sublime; ma era precisamente quello che ci voleva per ricondurre alla ragione un pubblico abituato alle iperboli, alle antitesi e al ridicolo del gigantesco e del romanzesco.

Memorie I - 36
Che bel piacere in tempo di notte trovare le strade illuminate, e le botteghe aperte,…
Che allegria che vivacità in quel minuto popolo! Cantano i venditori spacciando le merci….
Cantano i garzoni ritornando dalle botteghe…
Cantano i gondolieri aspettando i padroni…
Cantasi per terra e per acqua, e cantasi non per vanità, ma per gioia…

Goldoni realizza tutto questo nelle commedie e sulla scena agiscono uomini e donne animati dall’utile comune, da un’operosità condita di massime mercantili che invitano alla schiettezza e alla moderazione, alla condanna dell’ozio che non contribuisce alla prosperità economica dello stato. Trasforma le maschere della commedia dell’arte in espressioni e portatori della nuova ideologia borghese. Così Pantalone smette i panni di vecchio avaro e vizioso e si trasforma in mercante-filosofo
Con chi conosce la roba, non si domanda più del giusto. Il solito è di domandar venti lire, per poi discendere ad una lira alla volta sino alle undici. A me piace l’usanza inglese: vale quindici lire, e non le domando di più.
La bancarotta, II- 2
E nei confronti delle donne:
El studio delle donne, non l’ha da esser né la grammatica, né la poesia, ma l’economia della casa, l’educazion dei fioli…farse ben voler dal marìo, farse respettar dalla servitù, acquistarse un bon nome….questo xe lo studio delle femene che g’ha giudizio
La donna di testa debole I – 15
La moglie è garante della pace e del benessere della casa. E lo stesso Goldoni nella prefazione alla Locandiera “sirena incantatrice” nella scena dello stirare quando si burla del Cavaliere che languisce d’amore…ammonisce
Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara locandiera. ….Bastami che alcun mi sia grato della lezione che gli offerisco. Le donne che oneste sono, giubileranno anch’esse che si smentiscano codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e non m’importa che mi dicano nell’incontrarmi: che tu sia maledetto!
O nel monologo d’Arlecchino nella Gastalda (1751) in cui le massime del codice mercantile – non rubare, non prendere prestiti senza dare una garanzia – sono recitate con una mistura di ingenuità e malizia che fanno del lazzo una pungente riflessione sulla realtà.
Questo l’è arzento. ….ma l’oi da robar? Sior no, l’ho da tor in prestido. E lo torrò in prestido senza pegno? Sior no, vòi lassarghe el pegno. “sior taolin, me imprestéla sto candelier? Sì? Grazie. La vol el pegno? La g’ha rason. Ghe lasso el me cappellin”. Cussì fa i omeni d’onor. No i roba, no i tol in prestido senza pegno. Son un galantomo. Porto via el candelier, ma ghe lasso el me cappellin.

MASCHERA

Ha il potere di esprimere tutto quello che il testo e l’actio non dicono. Cosa accade dietro la maschera? Goldoni deve svelare tutto
Indossando una maschera, il principale riferimento alla persona privata, il volto, è occultato. La vita che contiene, la sua identità, deve essere animata. Chi è che mi schiaccia il viso? (topeng/teatro balinese con maschere significa letteralmente "premuto contro").
Goldoni aveva già tolto al popolo la frequentazione dell’Arlecchino.
Non si ferma, va oltre e rinuncia alle maschere. Perché goldoni lentamente priva il teatro della maschera? Scrive:
La maschera non può non arrecare danno alla recitazione dell’attore, quando rappresenta la gioia come quando rappresenta il dolore; che egli sia innamorato, sdegnoso o burlesco, si vede sempre il medesimo cuoio; ed egli ha un bel gesticolare e cambiare tono, non potrà mai rivelare, nei tratti del volto, che sono gli interpreti del cuore, le diverse passioni da cui il suo spirito è agitato.
Con questa azione Goldoni, a mio parere, perde la sfida con l’attore. La magia della maschera: avere una staticità, un’immobilità e trasformare questa quiete in movimento.
Con piccole oscillazioni, misuratissime, con l’inclinare la maschera in determinati modi, si sfrutta, infatti, l’incidenza della luce che modificando le ombre la rende più viva che mai. Da dire che la mezza maschera della commedia dell’arte assicurava una certa libertà al volto dell’attore. Eppoi, anche sotto la m. il viso deve mantenere la sua mobilità – paradosso – deve assumere, anzi, l’espressione che le viene impressa dalla m. se si vuole che essa viva. Stare all’erta. Attenti a dove si va per via della diminuzione del campo visivo. E ciò obbliga anche il resto del corpo a lavorare in uno stato d’allerta. L’uso del corpo con e senza m. pur compiendo le stesse azioni è completamente diverso. Toccare la m., per es., rischia di depauperare o rendere assurdo ogni gesto.
Prima lascia le maschere – con un margine di libertà d’improvvisazione a disposizione – poi le svuota – lascia l’involucro ma ne delinea l’individuo – alla fine le elimina del tutto.
Il peccato non è per la maschera in sé ma per tutti i significati e le potenzialità legati al mondo della commedia dell’arte. E’ stato più volte ribadito che al momento della riforma goldoniana la commedia dell’arte era nella sua fase di decadenza e che dunque anche l’interesse del pubblico fosse notevolmente diminuito.
Come nel teatro No (che tradotto letteralmente significa abilità) il piacere dello spettatore cresce se, oltre ad assistere al gioco, egli ne conosce anche le regole. La performance è l’incontro di varie componenti all’interno di regole e delle possibili varianti in esse trovate.
Allora bisognerebbe spiegare l’interesse che grandi maestri dell’800 da Stanislavskij a Mejerchol’d e registi come Strehler e Reinardht e tutto le avanguardie fino al recupero da parte di artesti geniali come Dario Fo.
La ricerca tutta borghese dell’individualità: fa di A. un servo, quel servo in quella storia che vive quelle vicende. Un personaggio in cui il pubblico poteva, o meno, riconoscersi e le cui vicende compatire.

IMPROVVISAZIONE

Improvvisare significa: comporre nell’atto stesso di eseguire e che dunque non può fare a meno di materiali preesistenti, di un bagaglio di conoscenze e di una dimestichezza con esse nonché di un’agilità nel combinare insieme le varie parti e una rapidità nel trovare la soluzione (solvere = sciogliere) più interessante nel minor tempo possibile, o meglio immediatamente. E sciogliere una trama i nodi di una trama laddove testo - textum ha la stessa radice di texere intrecciare tessere intreccio trama. Non c’è spettacolo senza testo senza intreccio e senza il suo scioglimento.
Ma di quale testo?
Goldoni dà il primato alla parola, all’intreccio dei dialoghi, allo scioglimento della storia. Il corpo è accessorio accompagna con gesti e movenze, atteggiamenti il dialogo dei personaggi. L’attore si atteggia a. atto agere= accompagnare le parole con azioni.
L’improvvisazione è per i comici dell’arte il frutto di un lavoro metodico e scrupoloso sostenuto da una frequentazione assidua delle tavole del palcoscenico, e da una ricerca tesaurizzazione di testi (da poesie a massime da lettere a brandelli di storie a cronache etc) delle più svariate provenienze organizzate in privati zibaldoni, che contenevano tali concetti. Talento individuale, dialettica viva all’interno del gruppo, capacità d’ascolto e concentrazione, memoria allenata e un corpo eloquente. Sperimentazione in scena aggiustamenti in fieri: il pubblico come interlocutore arrivano alla teorizzazione della performance che torna a riaffacciarsi prepotentemente nonostante ogni tentativo di ridurre il teatro al testo/parola/storia.

LINGUA

Goldoni sostituisce una lingua viva e conversevole, in veneziano prima poi in italiano, al plurilinguismo sbrigliato della commedia dell’arte dialettico-caricaturale, latinorum-pedantis, aulico-barocco, cacofonie, allitterazioni, onomatopee, un agglomerato di fonemi più che un tessuto sintattico. Voci alterate e inaudite: un parlar di ventre.

Il Songe dal repertorio dell’arlecchino Tristano Martinelli (1598)

Je mi suis indormiato ce matin
Q’un fachin d’importanza
Mi tiroit par la panza
Et mi disoit: “Monsieur Arlequin
Habebis medaliam et colanam »
Je respondis en dormant,
Si non me burlat opinio :
“piaccia a Iddio
di farci vedere il maturo parto
di queste pregne speranze”
per la mia foy en songeant an guadagno

io parlo toscolagno

(in fede mia nel pensare al guadagno sto parlando toscano)

A proposito della propria lingua Goldoni stesso scrive
Nella lettera di dedica de I rusteghi goldoni scrive: …in nessuna parte più che in Italia parlano diversamente i popoli…talché molti tra loro non si capiscono. La veneta nostra lingua non è la più difficile da capirsi,…pure ha tali termini e certe frasi e cotal pronuncia, che forastiera la rende anche agl’italiani e non sì facilmente si gusta da chi non l’ha in pratica perfettamente.
E nelle note a chi legge: molti bramerebbero un dizionario veneziano per intendere questa lingua, ed io stesso ho pensato di farlo…
e ancora nelle Baruffe chiozzotte: come sarà compreso (quel che dice) dai leggitori? E come potrà mettersi in chiaro con le note a pié pagina? La cosa è un poco difficile. I veneziani capiranno un poco più; gli esteri o indovineranno o avranno pazienza.

CENSURA

L’argomento delle commedie doveva obbedire in primo luogo all’esigenza di mostrare alla nuova società l’uomo nuovo. Si doveva fare propaganda e con l’improvvisazione era difficile farlo. Occorreva l’unità, la subordinazione di tutti gli elementi scenici ad un unico fine.
Goldoni rimodella Arlecchino: la matrice è illuministica, perde i tratti dello Zanni: la mimesi, l’invenzione, la magia gli avevano lasciato segni diabolici e animaleschi. Ne restano tracce nella camminata di A. e nella maschera nera.
Così nell’avvertimento al lettore che spesso precede l’edizione delle commedie Goldoni scrive (Prodigo): da molte coserelle un po’ troppo libere ho dovuto purgarla. Questa commedia fatta nei giorni di malcostume aveva bisogno più d’ogni altra di correzione.
E ancora ne la Bancarotta: non solamente l’ho per intero riscritta, ma l’ho spogliata di tutto quello che nei tempi oscuri passati era ancor tollerato, e oggi, per la grazia di Dio, fu dalle scene bandito.
E nel Frappatore: dovendola ridurre in grado di comparire stampata, non solo ho dovuto scrivere le scene che si facevano all’improvviso, ma le dialogate ancora sono stato costretto a riformare
versioni, dunque, purgate ed edulcorate rispetto a una prima stesura.


PROSSIMAMENTE UN INTERVENTO SU GABRIELE D'ANNUNZIO
ISTITUTO DI ITALIANISTICA DELL'UNIVERSITA' DI VIENNA MAGGIO 2008


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