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BIOGRAFIA
IL
PENSIERO DOMINANTE: LEOPARDI
Giacomo Leopardi nacque a Recanati
il 29 giugno 1798. Cresciuto con una rigida educazione religiosa, trovò
presto la strada dell'accogliente biblioteca paterna che occupò il posto
dei giochi dell'infanzia. A 15 anni Giacomo Leopardi conosceva già
diverse lingue e aveva letto quasi tutto: lingue classiche, ebraico,
lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e
astronomia). Tradusse i classici, praticò sette lingue, scrisse un dotto
testo di astronomia e scrisse un falso poema in greco antico,
sufficientemente convincente da ingannare un esperto. Risalgono a questo
periodo le tragedie La virtù indiana e Pompeo in Egitto; La storia
dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811 (1813); il Saggio
sopra gli errori popolari degli antichi (1815), e infine l’Orazione
degli italiani in occasione della liberazione del Piceno (1815), in cui,
allontanandosi dall’ideologia reazionaria del padre, traduce in chiave
antitirannica l’adesione al cattolicesimo e al legittimismo politico. Fu
traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio
«dall'erudizione al bello», ossia dallo studio alla produzione poetica.
Tra le prove poetiche più originali, ricordiamo l’idillio Le rimembranze
e la cantica Appressamento della morte. Nello stesso anno è da datare la
sua missiva alla «Biblioteca italiana», con la quale il Leopardi
difendeva le posizioni dei classicisti in risposta a Madame de Stäel.
L'anno dopo avviò una fitta corrispondenza con Pietro Giordani — che gli
aprì più vasti orizzonti culturali — e iniziò la stesura dello
Zibaldone. Non gli fu concesso di uscire di casa da solo finché non
compì vent'anni. Le sue ambizioni accademiche furono compromesse
dall'insistenza del padre perché diventasse sacerdote. Esasperato
dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle
Marche, governate dal retrivo Stato Pontificio, cercò di fuggire da
casa, ma suo padre riuscì a prevenirlo e a sventare i suoi piani.
Cominciò a soffrire di una salute cagionevole, che egli attribuì ai suoi
studi sregolati. Aveva una vista debole, soffriva d'asma ed era effetto
da una forma di scoliosi. Del '18 sono le canzoni «civili» All'Italia e
Sopra il monumento di Dante, nonché lo scritto Discorso di un italiano
intorno alla poesia romantica. Persa la fede, Leopardi rivolse le sue
attenzioni alla filosofia sensistica e materialistica (Pascal, Voltaire,
Rousseau). Si compì così la sua conversione filosofica. A questo periodo
(1819-1823) appartengono anche la composizione degli idilli L'infinito,
Alla luna e altre Canzoni (pubblicate poi a Bologna nel 1824) e la sua
conversione «dal bello al vero», con il conseguente intensificarsi delle
sue elaborazioni filosofiche, tra cui la teoria del piacere. Quando
finalmente, nel 1822, i suoi genitori gli concessero di far visita a un
cugino a Roma, la capitale lo deluse e perfino lo disgustò. La vita e
l’ambiente letterario romano gli apparvero meschini e mediocri, privi di
qualsiasi problematicità. Tuttavia i suoi scritti trovarono numerosi
estimatori nei migliori circoli letterari di Roma, molti dei quali egli
trovava insopportabili, né si curava di dissimulare il suo fastidio. Nel
1823 fece ritorno nelle Marche, dove nel 1824 iniziò a comporre le
Operette morali: la Natura veniva accusata di essere la fonte delle
sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio
di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato. Nel 1825
Leopardi riuscì a lasciare Recanati grazie all'avvio di una
collaborazione con l'editore milanese Stella che gli garantì una certa
indipendenza economica: fu a Milano, a Bologna, a Firenze e a Pisa. Nel
'30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli
permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze, dove
iniziò una vita di più intesi rapporti sociali. Qui s'innamorò di Fanny
Targioni Tozzetti (Aspasia) e strinse amicizia con Antonio Ranieri. Nel
1831 uscì la prima edizione dei Canti e iniziò probabilmente a lavorare
ai Pensieri e ai Paralipomeni della Bratacomiomachia (conclusi nel
1835). Sempre più lucida e impetuosa divenne in questi anni la sua
critica delle ideologie spiritualistiche e della civiltà borghese
contemporanea. Su questo sfondo nacquero nel 1832 le ultime operette il
Dialogo di Tristano e di un amico e Dialogo di un venditore di
almanacchi e di un passeggere. Aggravatasi la sua malattia agli occhi,
nel 1833 si trasferì a Napoli con Ranieri. Del '36 è La ginestra,
del '37 Il tramonto della luna. Morì a Napoli, dove infuriava il colera,
il 14 giugno del 1837. Venne sepolto nella chiesetta di San Vitale e nel
1839 le sue spoglie vennero trasferite presso la cosiddetta «tomba di
Virgilio» a Mergellina.
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Or poserai per
sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto. |
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